Negli anni del progresso e delle innovazioni, dalla linea produttiva fino ai nativi digitali, un tema aperto rimane l’attivazione di tutte le leve possibili per sprigionare il potenziale dei collaboratori rispetto alle sfide del nuovo mondo del lavoro, dell’economia e della società, soprattutto in un mercato dove le risorse più qualificate sono sempre più difficili da trattenere e la motivazione dei collaboratori essenziale.
Ecco allora che sempre più realtà, di qualsiasi dimensione e settore, sono orientate all’introduzione di politiche per incrementare il benessere, la salute e la qualità della vita dei propri collaboratori e dei loro familiari.
Tra i vari strumenti a disposizione, un welfare aziendale evoluto e personalizzato permette alle aziende di rafforzare la propria immagine come datore di lavoro, di attrarre talenti e ridurre il turnover.
Non dimentichiamo che il quadro normativo attuale, proprio per facilitarne l’adozione e la diffusione, permette poi che i valori riconosciuti a tale titolo vengano esclusi in tutto o in parte, nel rispetto delle condizioni prescritte, dalla base imponibile fiscale e contributiva, riducendo così il cuneo fiscale, rendendo queste politiche ancor più interessanti per aziende e dipendenti.
Ma cosa s’intende per piano di welfare aziendale?
Ci riferiamo a quell’insieme di benefici (c.d. fringe benefits), offerti dalle imprese ai propri dipendenti, che si affiancano alla componente tipicamente economica della retribuzione, a condizione che non siano predisposti come alternativa alla retribuzione o come contropartita della prestazione lavorativa.
La definizione degli importi da destinare a welfare può essere collegata:
– a condizioni contrattuali (in contratti nazionali, territoriali o, più spesso, aziendali),
– oppure a regolamenti interni predisposti come scelta del datore di lavoro.
In questi due casi, senza possibilità per il dipendente di monetizzare gli eventuali residui welfare non utilizzati.
Un’altra possibilità è data dalla contrattazione di secondo livello per l’istituzione dei premi di risultato: questi possono prevedere che sia il dipendente a scegliere se convertire in welfare l’importo in denaro del premio che sia risultato detassabile.
Quale che ne sia la fonte istitutiva – accordo, regolamento aziendale piuttosto che CCNL – a chi è rivolto e come si compone un efficace piano di welfare?
Ai fini dell’applicabilità della normativa fiscale di favore, il piano di welfare dev’essere rivolto alla generalità o a categorie di dipendenti, intese come gruppi omogenei, facilmente identificabili in base ad esempio all’anzianità aziendale, alla categoria o all’appartenenza ad una specifica area o ufficio.
Perché sia “efficace”, poi, in termini di soddisfazione dei destinatari, deve prevedere un’ampia offerta di soluzioni che possano incontrare le esigenze di ciascuno, anche dei più giovani.
Rimborso delle rette scolastiche dall’asilo nido fino all’università e poi anche al master…rimborso per l’acquisto dei libri scolastici, spese di assistenza per familiari anziani o non autosufficienti; contribuzione alla previdenza complementare; assistenza sanitaria; buoni spesa o buoni carburante: sono solo alcune delle svariate soluzioni a disposizione.
Per rendere più efficiente la gestione dei piani, molte aziende si avvalgono del supporto di qualificate piattaforme welfare, in grado di offrire ai dipendenti la massima possibilità di scelta tra i fringe benefits a disposizione, così da rispondere alle diverse necessità e preferenze di ciascuno e sollevare le aziende dagli adempimenti connessi.