Il patto di non concorrenza

Quando diciamo che la principale ricchezza di un’azienda è costituita dai collaboratori che vi lavorano, non stiamo tanto pubblicizzando uno slogan, quanto piuttosto diamo voce ad una realtà sempre più sentita, quella cioè dell’importanza della crescita delle competenze in azienda, come testimoniato dal crescente diffondersi tra le imprese di policy di retention e clausole di fidelizzazione.
Non potrebbe essere altrimenti nella cd economia delle conoscenze.

Ma quali sono oggi gli strumenti più utilizzati per proteggere il patrimonio di conoscenze, competenze e contatti propri di un’impresa?

Un ruolo di primo piano da sempre lo riveste il Patto di non concorrenza: se in costanza di rapporto la legge impone al dipendente l’obbligo di non compiere atti in concorrenza con il proprio datore, tale obbligo viene meno con la cessazione del rapporto di lavoro.

Spesso tuttavia è proprio in questo momento che l’esigenza di tutela per l’azienda si rende più necessaria: ed è proprio a questo che serve il Patto, ad evitare cioè che il collaboratore possa andare a lavorare da un nostro concorrente.

Non è infrequente però che questi patti siano oggetto di contestazioni che ne vanificano la funzione.

Ecco allora che con qualche attenzione in più e il rispetto di poche semplici regole sarà possibile blindarsi dal rischio che i nostri più fidati collaboratori possano trasferirsi alle dipendenze dei competitor.

Come?

Per prima cosa occorre ricordare che il Patto deve essere concordato in forma scritta. Altrimenti è nullo.

È inoltre necessario che nell’accordo sia individuata una durata massima (che decorrerà dalla cessazione del rapporto di lavoro) che non può normalmente essere superiore a 3 anni, che diventano 5 per i dirigenti. Se è stata per errore indicata una durata più lunga non ci sono problemi. Ci penserà il giudice a rideterminarla correttamente. Ma il Patto sarà salvo.

Va poi indicato un limite territoriale. Cioè il collaboratore si impegna a non prestare il proprio lavoro verso aziende di una determinata area geografica, fin dove arriva l’interesse della nostra azienda in funzione dei prodotti e dei clienti. L’attuale evoluzione dei mercati sempre più globali rende tale limite sempre più elastico.

E’ fondamentale poi specificare quali attività, quali mansioni non possano essere svolte dal lavoratore presso la nuova azienda. E’ possibile indicare il settore o i settori che riteniamo in concorrenza con la nostra azienda o perfino precisare quali siano le aziende presso le quali è assolutamente escluso che il collaboratore possa venir assunto senza violare il patto.

Attenzione: il patto non è senza costi per l’azienda e gli importi che andrò a riconoscere all’ex collaboratore non possono essere meramente simbolici.

Una definizione di importo che possa definirsi congruo però non c’è: la legge tace sul punto.

L’azienda sarà pertanto chiamata a compiere una valutazione in relazione all’estensione di vincoli imposti all’ex dipendente: maggiore sarà la durata temporale del patto, maggiore l’estensione territoriale del divieto, maggiori i settori lavorativi indicati…più elevata dovrà essere la somma da concordare.

Ma perché è così importante determinare in maniera corretta questo corrispettivo? Perché qualora un giudice lo ritenga inadeguato, il patto potrà essere dichiarato nullo, il nostro ex collaboratore potrà essere assunto dai nostri competitors e verrebbero pertanto vanificati i nostri intenti.

Vediamo infine come deve essere erogato.
Il nostro consiglio è di corrispondere l’importo alla cessazione del rapporto di lavoro in percentuale rispetto all’ultima retribuzione lorda del lavoratore e moltiplicando tale cifra per il numero di anni di durata del patto.
Sconsigliamo quelle prassi che prevedono erogazioni mensili mentre è ancora in piedi il rapporto di lavoro in più di un’occasione infatti i giudici hanno collegato l’erogazione mensile dell’importo alla volontà da parte del datore di premiare l’attività lavorativa del collaboratore – alla stregua di superminimo individuale – finendo così per dichiararne la nullità.

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