Potere organizzativo del datore di lavoro: il cambio di mansioni

Cambiamento, trasformazione, strategia: mai se ne è parlato così tanto e così spesso nei contesti aziendali.
Ogni percorso di trasformazione, però, porta con sé la necessità di valutare se e come la struttura e le competenze della propria realtà aziendale possano rispondere alle esigenze del cambiamento.

Se è vero che l’Azienda è libera di modificare la propria organizzazione, di introdurre nuove tecnologie, di modificare le proprie attività e prodotti, non è però altrettanto libera di modificare le mansioni dei lavoratori.

A cosa ci riferiamo quando parliamo di mansioni? Le mansioni descrivono cosa fa il lavoratore.

Sono l’insieme dei compiti e delle specifiche attività che il prestatore di lavoro deve eseguire in esecuzione del contratto.

Se l’azienda cambia, però, anche i compiti e le attività dei lavoratori devono poter cambiare.

Come fare?

Il mutamento delle mansioni può essere di tre tipi:

orizzontale: consiste nella possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni riconducibili allo stesso livello contrattuale e categoria legale. La verifica non sarà più come una volta con le mansioni professionalmente equivalenti a quelle da ultimo svolte, semplicemente il lavoratore potrà essere adibito a tutti i compiti ricompresi nel suo livello di inquadramento. Per questo si parla di equivalenza formale.

C’è poi il mutamento verticale: quando le nuove mansioni sono di livello contrattuale superiore.

Attenzione perché il dipendente avrà diritto fin da subito al trattamento economico del livello superiore e l’assegnazione diventa definitiva dopo un periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi.

Ricordatevi in questo caso di verificare sempre le previsioni del contratto collettivo e la possibilità per il lavoratore, prevista dalla legge, di rinunciare all’assegnazione definitiva delle mansioni superiori.

Quando invece è necessario assegnare il dipendente a mansioni di livello contrattuale inferiore, si parla di “demansionamento”, tema da sempre spinoso e conflittuale.

Fino al 2015 era vietato in modo assoluto il demansionamento, con alcune eccezioni, finalizzate per lo più a salvaguardare l’occupazione.

Ora invece la normativa consente diverse ipotesi di demansionamento, di cui alcune “unilaterali”, vale a dire senza accordo con il lavoratore, e una consensuale.

Una prima possibilità di operare un demansionamento unilaterale è prevista in caso di modifica dell’organizzazione aziendale, a condizione che: non sia modificata la categoria legale (ovvero non si trasformi un impiegato in operaio o viceversa); le nuove mansioni appartengano al livello contrattuale immediatamente inferiore a quelle precedenti; venga conservata la retribuzione, eccezion fatta per quegli elementi , ad esempio le indennità di funzione, che sono strettamente collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione.

Altre ipotesi, sempre alle condizioni appena viste, possono essere individuate dalla contrattazione collettiva.

Il demansionamento consensuale consiste invece nella possibilità di raggiungere un accordo per adibire il lavoratore anche a compiti propri di altra categoria legale (operaia o impiegatizia), di più livelli inferiori di inquadramento contrattuale rispetto a quello di appartenenza adeguando, se del caso, anche la relativa retribuzione.

L’accordo per essere legittimo deve essere stipulato nelle sedi protette, dunque in sede sindacale, oppure avanti all’Ispettorato del lavoro o in alternativa avanti alle commissioni di certificazione.

Ricordate che nell’accordo si dovrà dare atto della presenza di almeno uno dei seguenti scopi: a) salvaguardare il posto di lavoro del dipendente; b) migliorare le sue condizioni di vita; c) acquisire una diversa professionalità.

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