La normativa europea sui requisiti di capitale del sistema bancario (la cosiddetta CRR), definisce quando una banca è tenuta a considerare un cliente come “insolvente” rispetto alle obbligazioni che ha contratto, in pratica quando è necessario che attribuisca alla posizione lo stato di default.
La classificazione ad insolvenza può avvenire ad esito di due distinte modalità:
– Criterio soggettivo: il risultato di una autonoma analisi interna della banca, da parte dei propri organi creditizi, che ritiene improbabile il recupero dell’esposizione se non con l’escussione delle garanzie sottostanti (la cosiddetta “inadempienza probabile” o UTP);
– Criterio oggettivo: il debitore presenta uno scaduto da oltre 90 giorni su un’obbligazione creditizia di importo rilevante.
Dal 1° gennaio 2021 sono entrate in vigore le nuove regole sulla definizione di default applicabili a tutte le banche e agli intermediari finanziari europei (società di leasing, factoring etc…). Per individuare se l’insolvenza ha carattere “oggettivo” (e quindi non legato alla valutazione soggettiva ed autonoma della banca) si devono verificare ulteriori due componenti:
– La prima componente è quella assoluta: l’arretrato deve superare i 500 euro su tutte le linee complessivamente (che invece diminuiscono a 100 euro per persone fisiche e PMI con esposizione inferiore al milione verso la banca);
– La seconda componente è invece relativa: l’arretrato deve essere superiore all’1% del totale dell’esposizione creditizia nei confronti della banca.
Il default è presente quando lo scaduto supera entrambe le componenti per oltre 90 giorni consecutivi (a partire dal giorno successivo alla data in cui l’arretrato supera la soglia di rilevanza).
Diversamente dal passato, non è più ammissibile utilizzare margini ancora disponibili su altre linee di credito per compensare gli inadempimenti su altre esposizioni.
E’ bene precisare che la classificazione a default dell’”impresa” coinvolge tutte le linee di credito nei confronti della banca e non solo su uno specifico affidamento. Le conseguenze negative si rifletteranno sulle altre imprese collegate (per legami di controllo giuridico o anche solo di natura economica), esposte verso lo stesso istituto di credito (il cosiddetto “effetto contagio”).
A questo approccio fanno eccezione le PMI che abbiano un’esposizione complessiva inferiore ad un milione di euro, alle quali la banca può decidere, a sua discrezione ed in totale autonomia sulla base delle policy creditizie adottate, di applicare la definizione di default a livello di singola linea di credito.
Ma cosa comporta la classificazione a “default” dell’impresa? Il debitore viene riclassificato all’interno del portafoglio di crediti “deteriorati” della banca. Quest’ultima come previsto dai regolamenti europei, dovrà accantonare contabilmente somme sempre maggiori per fronteggiare il rischio, facendo divenire la relazione con il cliente progressivamente meno interessante, antieconomica e perfino critica.
Inoltre, la segnalazione deve essere riportata immediatamente dalla banca in Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, con conseguente evidenza a tutto il sistema bancario. Il risultato è un ragionevole peggioramento diffuso del merito di credito, che comporterà anche per le altre banche maggiori accantonamenti a bilancio per l’aumento del rischio di insolvenza del debitore. Le reazioni da parte delle banche, consistono tipicamente in attività di ridimensionamento della perdita economica o dell’esposizione: innalzamento delle condizioni, rifiuto ad una richiesta di nuova finanza da parte dell’azienda, riduzioni dei fidi accordati, richiesta di rientro dei prestiti.
Ma quando l’impresa potrà ritornare in bonis? Devono essere trascorsi almeno tre mesi dal momento in cui non siano più presenti le condizioni di insolvenza, durante i quali la banca valuta comunque il comportamento e la situazione finanziaria del cliente, e se il miglioramento della qualità creditizia risulta permanente ed effettivo.
Questa nuova definizione di default impone alle imprese ancora maggiore attenzione e puntualità nel rispetto delle scadenze delle obbligazioni creditizie per evitare la classificazione ad insolvenza, con tutte le sue negative conseguenze, anche per arretrati di esigua entità.